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VIDEO-GUIDA ENOGASTRONOMICA NOIR

IL NOSTRO VIDEOROMANZO NOIR È POPOLATO DA 16 PERSONAGGI, 8 PER FAZIONE.

La fazione rossa fa capo a Fulvio Seta, noto ladro gentleman; la fazione blu è guidata da Adalberto Sangue, detective dell’improbabile e nemesi di Seta. Tutti insieme vi guideranno alla scoperta delle migliori realtà enogastronomiche attraverso mirabolanti avventure.

Nella morte che ogni passo decreta del passo prima, Fulvio Seta assapora il cangiante gusto di muoversi nell’ombra. Scivola. E se il buio è nemico dei bimbi e ricorda ai ciechi l’iniquità del destino, è per lui il buio l’alleato, l’amante, una versione migliorata di se stesso. Già nella precoce adolescenza il padre l’aveva iniziato alla nobile arte del sommelier, mentre dalla madre aveva ereditato l’etichetta e il gusto nel vestire. Ma fu un malfattore l’epigone intellettuale, il mito e la nemesi col quale confrontarsi: Armando Sfinge era il genio della truffa, arcano manipolatore e inarrivabile casanova. Insegnò al nipote ben presto i trucchi del mestiere e si servì di lui per i colpi difficili, assegnandogli sempre compiti molto rischiosi. Eppure Armando fu beccato nel colpo finale, quello che gli avrebbe dato denaro a sufficienza per sollazzarsi a vita: Adalberto Sangue, un misterioso detective sbucato dal nulla, riuscì ad evitare il misfatto, lo condusse alla polizia e infine di fronte ad un tribunale che decretò l’ergastolo. Fulvio non sapeva se odiare o meno il suo nuovo, logico rivale. Decise quindi di sfidarlo, per dimostrare che lui sarebbe rimasto impunito di fronte alla legge.
«Se la logica fosse l’unico criterio possibile d’indagine, come potreste mai prendere assassini e autentici criminali il cui pensiero esula dai canoni comuni?» Era questa una frase che Adalberto Sangue era solito ripetere allo sceriffo Enzo Proiettile e ai suoi bravi, con una certa altezzosità e il rabbioso disprezzo di chi crede ciecamente nella giustizia e nell’esercizio delle virtù. Pare che Sangue sia originario delle isole Eolie e che abbia passato anni in manicomio a studiare l’essere umano sotto ogni suo profilo, personalità e deformazione. C’è chi spettegola sul suo passato da medico, mentre il becchino è sicuro d’averlo visto trafugare un cadavere e averlo rincorso con un badile fino a vederlo sparire nel buio. Ma nessuno ha il coraggio di accusarlo frontalmente, anche perché l’unica diceria appurata riguarda la sua precoce irritabilità. Il detective comparve dal nulla e arrestò il famoso criminale Armando Sfinge fornendo i capi d’accusa necessari per farlo condannare all’ergastolo. Da quel giorno il nipote del malfattore, Fulvio Seta, continua a sfidare la giustizia eseguendo eleganti furti e truffando altolocate signore dei quartieri bene. Sangue gli da la caccia senza tregua e ha giurato di fronte ad Atena che un giorno o l’altro lo prenderà.
La prima parola che pronunciò da bambino fu “Mannaia”, suscitando lacrime di gioia nella madre, la cui stirpe suggeriva una genealogia di criminali, boia e guerrieri irsuti. Ma le parole che seguirono furono “Carbonara”, “Raviolo”, “Fegatello” e il padre non capiva come l’arte culinaria, un interesse così lontano dagli affari di famiglia, stesse nascendo nel cuore del ragazzo. Preoccupati per l’indole poco aggressiva di Lautaro, i genitori lo affidarono alle cure di Papanbawe, uno fra i più spietati pirati somali dell’epoca contemporanea. Era il capitano del Kruvsciott, una nave mercantile che dissimulava attività di pirateria, eseguita con piccole e veloci barche invisibili ai radar e satelliti che usavano il vascello come base. Alto e tisico, il piccolo Forca fu schernito sin da subito dalla ciurma, ma alla prima schermaglia seria rese monchi due pirati con un machete e tagliò la lingua al terzo per una “tenera” offesa. Allontanato dalle scorribande marinaresche fu confinato per un certo periodo nelle cucine, l’unico posto che lo rendeva placido e ammorbidiva il suo carattere schivo e silenzioso. Nel giro di dieci anni divenne il braccio destro di Papanbawe che non poteva più fare a meno della sua arte culinaria e trasformò il mercantile in una nave ristorante. In una missione nell’entroterra, Lautaro si innamorò di Babanta, una rwandese di stirpe tutsi. Gli anni passarono felicemente tra l’attività di pirateria, la sperimentazione culinaria e le fughe d’amore consumate all’ombra della flora africana. Un giorno, Adalberto Sangue si recò in missione sulla Kruvsciott con il fidato aiutante, Settimio Pollio, per un’indagine su tonnellate di tonno depredato dalle navi appartenenti alla Yellow Fins. Nella sala ristorante, mentre il detective indagava, la voracità del piccolo Settimio diede subito un gran da fare a Forca che imbracciò agguerrito la sfida. Dopo settanta primi, centoquarantasei secondi e tredici teglie di tiramisù il cuoco l’aveva preso in simpatia. A fine servizio si mise a sedere al tavolo con lui e chiacchierano per ore di cibi d’elite, scolando rum come veri pirati. Proprio in quel periodo aveva luogo una sanguinosa guerra fra hutu e tutsi: la persecuzione di quest’ultimi portò irrimediabilmente all’uccisione di Babanta. Preso da furia omicida, Forca uccise con la mannaia da cucina gran parte dei coloni belgi che avevano creato disparità di classe irreversibili dando origine al conflitto. Quando si riprese il sangue gli colava dagli arti superiori e una massa indistinguibile di cadaveri copriva la fitta vegetazione. I superstiti lo accerchiarono con armi da fuoco, determinati alla vendetta. Ma il piccolo Settimio Pollio aveva seguito il grande cuoco per paura di perdere un amico da ‘si grandi abilità culinarie e quando vide la scena la sua portentosa chioma afferrò tutti i fucili e i suoi canini divennero zanne: in pochi minuti i nemici furono sterminati. Nel frattempo Forca era in ginocchio, distrutto dalla disperazione e perso in uno stato catatonico. Pollio fece di tutto per portarlo alla cucina più vicina ma ormai il cuoco non riusciva più a tenere una padella in mano. Dopo mesi di tentativi, il nano rockabilly abbandonò la causa e disse a Sangue che era ora di tornare in patria. A distanza di qualche ora, una mano toccò la spalla di Lautaro Forca, l’altra gli porse un attrezzo familiare e una voce suadente disse “Sono giunto sin qui dall’Italia, spinto dalla fama delle tue arti culinarie: da oggi userai questa mannaia solo per preparare raffinatezze, ti assumo nelle cucine del mio castello”. Era Fulvio Seta. Forca non rispose subito, ma quella voce riuscì a penetrare dentro la roccaforte di insensibilità del pirata e dopo una settimana salutò Papanbawe e partì verso lo Stivale. Da quel giorno prepara succulenti piatti grazie alle ricette rubate da Seta ed il primo ad assaggiarle è Settimio Pollio, come ricompensa per avergli salvato la vita.
In un villaggio sperduto fra le piane umbre, la tribù dei nani rockabilly prosperava grazie all’allevamento e all’agricolutura. Durante le perenni feste serali, banchetti trimalcionici esponevano salumi, formaggi, funghi e tartufi mentre sul palco della piazza centrale si alternavano musicisti e cantanti: i nani, nonostante la piccola corporatura, ingollavano quintali di cibo e bevevano ettolitri di birra artigianale a ritmo di rock and roll. Tutto era perfetto. Eppure un giorno la placenta non uscì fuori nel parto di Giacomella Pollio: il piccolo Settimio l’aveva mangiata. La voracità leggendaria della tribù nanica era mancante di un aneddoto di questo tipo; tutti si convinsero che poteva considerarsi un evento normale. Settimio Pollio non aveva ancora imparato a camminare quando la sua portentosa chioma afferrò ad uno ad uno tutti i salumi appesi in casa per farli sparire in meno di un quarto d’ora. A tre anni i suoi genitori si svegliarono allarmati dal pianto della sorellina cui aveva addentato un braccio, dopo aver sgranocchiato tutti i mobili in legno in cerca di succulenti tarli. Era ora di prendere seri provvedimenti. Affidarono il piccolo onnivoro alle cure di Ermenegildo Stazza, il saggio della tribù. A suon di cucchiaiate e proverbi nanici sulle conseguenze dell’accumulo lipidico, Settimio imparò a contenersi e smise di mangiare cibi scadenti. Iniziò a degustare piatti raffinati e la sua lingua si formò su sapori rarissimi classificando e valutando le sottili sfumature che distinguono la buona cucina dall’arte culinaria. Nonostante l’educazione ricevuta, continuava ad essere un greve problema per la tribù, che fino allora aveva prosperato: l’estate del suo diciottesimo compleanno, Pollio consumo tutte le provviste invernali e fu ritrovato a ronfare ubriaco nei granai con l’ultima pecora che aveva ficcato la testa in terra come uno struzzo. Preso a calci dal suo mentore e foneticamente denigrato dalla propria tribù mentre si allontanava, Settimio era irreversibilmente destinato a solitudine e diete. Girò il mondo in cerca di un luogo che potesse ospitare la sua fame e molti furono i ristoranti da cui dovette scappare senza aver pagato il conto. Accolto dalla signora Pina Sellecchio per un pasto di tipica cucina napoletana, conobbe Adalberto Sangue al ritorno dal misterioso caso della burrata siamese. Dopo aver visto in opera il suo sistema deduttivo basato sulla chioma rockabilly, il detective lo prese come aiutante proponendogli vitto e alloggio senza sapere a cosa sarebbe andato incontro. Al tempo il detective era sulle tracce di Papanbawe, uno dei più spietati pirati somali dell’epoca contemporanea, per un furto di tonnellate di tonno. Indagando sul caso, Settimio conobbe Lautaro Forca sopra la Kruvsciott, una nave ristorante somala che dissimulava attività piratesche. Il grande cuoco, sfidato dall’insaziabilità del piccolo ometto lo prese in simpatia fino al giorno in cui, dopo aver avuto in salvo la vita grazie al coraggio di Settimio, i due divennero amici per la pelle. «Ti ho salvato la vita in Rwanda – ripete il nano ad ogni incontro con Forca – cucinami qualcosina di buono!»
Il Male non avrebbe mai il cattivo gusto di avere sembianze umane. Ma nel caso di Mr. Broglio potrebbe fare un’eccezione. Estroso, elegante e raffinato nell’atto di cibarsi, Caino sfoggia un’eloquenza tutt’altro che esigua riguardo il mondo culinario, con rimandi all’occulto, all’orrido e all’insondabile. È conosciuto per il suo fare da viveur e temuto per l’inclinazione criminale. Conobbe Fulvio Seta grazie al furto di 20 bottiglie di Chateau Margaux di inizio ‘900: dopo aver ingaggiato la creme de la creme dei ladri di tutto il mondo, si vide portar via la refurtiva da Seta che raggirò l’intera squadra con il fascino di 6 entraîneuse. Schifato dalla produzione globale e omologata, Caino Broglio vive nel sottobosco del mercato alimentare. Per lui aste del pesce, fiere di vini e di vivande e tutti gli aspetti grossisti per il pubblico ristretto sono ancora troppo allargati: parla col pescatore di datteri, cerca i favori del produttore artigianale di gorgonzola col botrytis, fa accordi segreti col cacciatore di selvaggina e mercanteggia con ambigui trafficanti di squisitezze. Non sopporta Eudemonia Rossetto, ama far andare su tutte le furie Lautaro Forca e teme Pina Sellecchio che ha lasciato sulla sua pelle i segni della lupara.
“Genio” è una parola usata troppo spesso. La usano persone egocentrice e prive di cultura, uomini e donne col QI appena al di sopra della media e un narcisismo imperante e marketing manager di uomini politici che la nascondono fra le righe per farla risaltare alle masse di ignoranti. Per Eugenio Strambizzoide “genio” risulterebbe un eufemismo ben poco connotativo delle capacità intellettive, empatiche e crossmediali appartenenti a quest’essere umano. Fin dalla più tenera età amava scherzare con le equazioni differenziali e i teoremi irrisolti della matematica. A 8 anni, dopo aver giocato a D & D, si cimentò nella chimica, sintetizzando la pozione dei piedi leggeri, la pozione della forza di Vanhel e quella dell’invisibilità. A 15 anni inventò la macchina del tempo per tornare nel 1950 e spiegare ad Einstein alcune pecche della teoria della relatività. In un esperimento a campione sulla lettura dell’encefalo umano tramite un computer senziente e nanomacchine neurali, Eugenio sondò la psiche umana. I risultati sulla massa furono deludenti, ma Adalberto Sangue, sulla cartella clinica il paziente numero 442, si rivelò indecifrabile. Scoprì qualcosa di più profondo dell’inconscio e zone cerebrali con caratteristiche inimmaginabili a scienze occulte, esoterismo e misticismo. Da quel giorno Sangue decise di far da cavia agli esperimenti di Strambizzoide, in cambio di oggetti utili alle sue indagini.
Armando Sfinge è uno dei pochi criminali gentleman ancora in circolazione. Il suo fare ottocentesco e la ferrea etichetta si accordano inevitabilmente col fare da casanova e il gusto per la truffa ineccepibile. Eppure, durante il furto che l’avrebbe reso multimilionario, Adalberto Sangue riesce a beccarlo. Tutt’ora Sfinge non capisce da chi ha avuto la soffiata o come sia mai potuto accadere che un detective comparso dal nulla l’abbia preso al primo colpo. Dopo la sentenza che ha decretato l’ergastolo, Armando si trova in una delle prigioni di massima sicurezza dello stato italiano: li dentro è il re indiscusso, fa entrare ciò che vuole all’interno ed è capace di interagire indirettamente con l’esterno. Viene interrogato talvolta da Sangue o da Enzo Proiettile o da entrambi: ottengono qualche intricato rebus, prese in giro o indizi volutamente regalati per smuovere le acque. “Presto evaderò, state in campana!” continua a ripetere, ma sembra passarsela troppo bene in prigione per farlo davvero. Gli resta un dubbio che vuole risolvere a tutti i costi: chi diamine è Adalberto Sangue?
Da sempre sopra le tracce di Armando Sfinge, il commissario di polizia lavorava giorno e notte sui casi generati dal noto criminale. Enzo Proiettile arrivava sempre qualche minuto troppo tardi o non riusciva vederlo scomparire dal luogo del delitto perché nell’arte del travestimento il lestofante è proprio un mago. Dovette riconoscere un grande talento al detective Adalberto Sangue, quando riuscì ad incastrarlo e condurlo in prigione. Ad oggi, Proiettile si reca sovente sul luogo del delitto di Fulvio Seta per osservare lo strano metodo di indagine di Adalberto o per comunicargli indizi alternativi; è costantemente alla ricerca di Caino Broglio e Tullio Taglia ed è sicuro che le tracce lasciate dal ladro gentleman possano condurlo ai due malfattori. Beve almeno 8 caffè al giorno e fuma sigarette senza filtro, spesso le accende col mozzicone di quella che sta per spegnersi.
Dannata a rapire gli sguardi di tutti gli uomini del pianeta, accresce la sua incomparabile bellezza con un intelletto e una grazia fuori dal comune. Da piccola Eudomonia Rossetto si spostava da un paese all’altro insieme al luna park di una famiglia allargata di gitani. Il suo ruolo era quello di aiutare lo zio, un truffatore che si spacciava da mentalista con spettacoli da quattro soldi. Durante un’esibizione, la madre di Fulvio Seta nota la malasorte della bimba e convince il marito a fare una proposta d’adozione. Per un cifra esigua, la piccola orfana viene “ceduta” dallo zio alla famiglia Seta e diviene la sorellastra di Fulvio. Crescendo apprende le arti della poesia e del canto; latenti in lei rimangono una furbizia e una diffidenza estrema verso gli uomini. Tra questi, non riesce a reggere la gelosia del fratellastro che la desidera non appena la vede trasformarsi in donna. Ma l’apparizione del detective Adalberto Sangue cambia in lei questa misandria: Eudemonia s’innamora perdutamente e non riesce a frenare i suoi sentimenti. Cerca Adalberto dappertutto, lo rincorre, usa diabolici stratagemmi per ottenere anche un solo cenno d’approvazione. Il detective non è interessato all’amore o se la tira?
Di origini ignote, la vecchia napoletana ha da raccontarne delle belle. È stata burattinaia, cantante lirica, madre di 7 figli. Pina Sellecchio, inseparabile dalla propria lupara, viaggia con la Roulotte Ufficio insieme al detective e al suo assistente, occupandosi delle riparazioni dell’auto d’epoca che traina la casa mobile. Ha una strana simpatia per Settimio Pollio fintano che non ripulisce il frigo e non può vedere Caino Broglio. Il suo carattere spigoloso diventa burbero e tagliente man mano che si avvicina il giorno in cui Adalberto Sangue deve saldare l’affitto. «Dove diamine sono i miei soldi?!!!» esclama digrignando i denti mentre inizia a premere sul grilletto.
Vendere la propria madre non è un problema per molti giornalisti. Seguendo l’orda di truffatori mediatici ed esaltatori del nulla scenico, Deuterio Carta incarna perfettamente il giornalista italiano. Deuterio è lo scrittore di punta di Soutè News, un quotidiano simile ai tanti che è possibile trovare in giro: subordinato all’economia, colmo di immagini violente o di decolté e scosciate apparentemente innocue, pieno di articoli che spettacolarizzano la realtà iperpornograficizzando personalità frivole e supersuperficiali. Dopo un incontro segreto con Fulvio Seta, Deuterio decide di far diventare il ladro gentleman un personaggio di punta del giornale. Ne narra le gesta nel tempo, seguendo l’iter e l’evoluzione dei suoi delitti come se fosse una fiction a puntate. “Il genio della truffa colpisce ancora” scrive in prima pagina; quando Adalberto Sangue legge i suoi articoli impreca ad alta voce e fa fare sempre una brutta fine al rotocalco.
Se Balzac morì di scrittura, almeno nella romanticizzazione del mito letterario, Galileo Penna vive nella scrittura. Erudito su tutti gli aspetti dello scibile, presenta una strana deformazione professionale nei confronti del cibo: ne affronta gli aspetti antropologici, filosofici, letterari e metasaggistici. La sua penna è intrisa d’un estro che non segue le comuni logiche del giornalismo. Ama la verità, la meritrocrazia e la giustizia. Ad oggi è praticamente un esempio unico nel panorama italiano, fra quelli che non vivono in clandestinità pieni di querele che li schiacciano e quelli schiacciati sotto un tir perché parlano troppo.
Mentre gli uomini si eccitano nel vederla passare, lei si accende solo con i saldi. Linda Topazio, regina dello shopping e del marketing, fa della lingerie troppo spesso il suo unico capo. “Ho dimenticato di mettermi i vestiti anche stavolta”, dice con fare da lolita mentre poggia il dito sulla bocca. Arruolata da Fulvio Seta per le sue capacità di ricerca, studia la filosofia dei locali in cui il ladro gentleman compirà il suo delitto e lo consiglia su eventuali rarità da portar via. Ha un debole per Galileo Penna, il quale non sembra neanche accorgersi della sua presenza. Al contrario, Caino Broglio riceve da lei sempre il due di picche, nonostante lui la accompagni sempre per negozi svuotando le proprie tasche in favore di magnifici capi intimi.
Stella Ferante è autodidatta nell’arte dell’hackeraggio di sistemi complessi e lettrice accanita delle ultime news in campo scientifico e tecnologico. Vede il mondo in codice binario e logici meccanismi causa-effetto. Non sopporta l’idea di perdere il controllo e ha una corazza contro adulatori e dongiovanni. L’incontro col detective Adalberto Sangue sancisce per Stella una nuova e costante sfida nel rintracciare Fulvio Seta durante i suoi delitti. Grazie al computer senziente ad energia solare progettato da Eugenio Strambizzoide, l’hacker al servizio della giustizia riesce a bypassare codici articolati e superare in maniera creativa qualsiasi paradosso dell’esistenza.
Perennemente sotto l’effetto dell’alcol, Tullio vive un vita magra e al limite. Borderline sotto ogni punto di vista, guadagna sempre il giusto per non arrivare alla fine del mese. Spesso accetta lavoretti da parte di Caino Broglio, il quale lo manda dai cuochi per farsi rivelare tutti i segreti del mestiere. Mentre li tortura mangia ciò che trova nella loro cucina, difficilmente riesce a discernere il cibo dagli utensili più morbidi e masticabili. Enzo Proiettile lo becca in flagrante quasi sempre e lo sbatte qualche giorno in prigione a meditare sulla propria vita insensata.
Inguaribile romanticone, nasconde la sua dolcezza dietro un fare burbero e indisponente. Guerino Peste, critico culinario d’eccellenza, non è alla mercé di nessuno né mai lo sarà. Ricco di famiglia, visita in segreto molti ristoranti e solo alla fine si rivela. Fa revisionare i propri testi da Galileo Penna, immancabile amico di pasti luculliani e spalla su cui piange gli amori non corrisposti, tra cui quello per Stella Ferante.
Progettato e costruito da Eugenio Strambizzoide, viene donato a Fulvio Seta in cambio d’un tomo apparentemente indecifrabile. Le enormi zampe permettono al castello robot di scavalcare montagne e viaggiare ad enormi velocità; tre eliche in titanio consentono dinamismo supersonico in volo o sott’acqua. Dal cupolone panoramico il gusto del viaggio è garantito. Per i filosofi o i perdigiorno, il cortile medioevale posteriore è utile all’ozio, per prendere il sole o disputare una piacevole partita di cricket. L’interno del castello dispone di una sala da cucina attrezzatissima a vista dalla sala da pranzo più tecnologica del pianeta Terra. Vi sono inoltre stanze del sesso, stanze videoludiche e stanze segrete che conducono a stanze segretissime. Tra queste la cantina di Caino Broglio, lo studio cassaforte di Lautaro Forca e la stanza delle reliquie di Seta. Vi auguriamo un felice soggiorno.
Residenza nomade di Pina Sellecchio, la roulotte sgangherata ospita il detective Adalberto Sangue e il suo grasso aiutante e si sposta seguendo i luoghi del delitto di Fulvio Seta. All’interno lo spazio permette l’esistenza di un originale ufficio e di una stanza dedicata ad un computer senziente ad energia solare che Eugenio Strambizzoide diede in dono al detective. Agli antipodi, Pina Sellecchio ha attaccato con tavole e scotch un piccolo loculo in cui dorme Settimio Pollio. Il tutto viene trainato da un auto d’epoca che va a biodiesel di canapa.